non etichettare le persone

Do not put people in a bucket

non etichettare le persone

02 FEB 2018 Do not put people in a bucket

Pubblicato da Redazione

“Non mettete etichette alla gente”: così ha detto Ed Catmull, CEO di Pixar, sollecitato ad esprimersi sui Millenials. Ops, lo abbiamo appena fatto anche noi: scegliendo di usare la parola Millenials. Ma in questo articolo vogliamo parlare proprio delle generazioni che verranno, dei ragazzi e delle ragazze che fra qualche anno affronteranno (con fatica) la ricerca di un lavoro. Un tema che sta a cuore a molti, come genitori, come cittadini e come osservatori delle dinamiche aziendali/organizzative.

 

Lost in translation

Ormai, per fortuna, ci sono tanti studi e ricerche su questo tema che ci aiutano ad attraversare il guado che in parte ci separa da loro. Diciamo “in parte” perché condividiamo la visione di Baricco espressa ne “I Barbari”: ciò che ci spiazza è il fatto di muoverci su una nuova “mappa”, ignota a noi baby boomers che inseguiamo la tecnologia e non sappiamo cosa ci sarà domani. Ma priva di riferimenti anche per le generazioni Y e Z che su questa nuova “mappa” ci sono nate, ma senza mentori: nessun modello cui far riferimento, nessuno strumento per interpretare la realtà.

Ne abbiamo parlato con la nostra Barbara Demichelis, che tra le altre cose si occupa di giovani, orientamento, inserimento.

 

Barbara, da dove cominciare?

«Zenger Folkman, società che monitora a livello internazionale le caratteristiche distintive della leadership, ci diceva già nel 2013 che i giovani Y emergevano rispetto ai baby boomers per capacità di collaborare e giocare in squadra, innovare e praticare il self-development, ossia chiedere costantemente feedback su di sé per diventare migliori. Tratto, quest’ultimo, in contrasto con l’immagine dei giovani che ci viene spesso proposta di supponenza e del “so fare tutto io”.

Da allora ho ristretto il campo di osservazione all’Italia ma esteso la profondità dello stesso, puntando la lente d’ingrandimento sui semi del futuro e concentrandomi quindi sugli Z , in particolare i diciottenni. Quelli che come ben sintetizza Alessandro Rosina, demografo dell’Università Cattolica, sono connotati dalle 3C: Connection, Change, Confidence

 

Negli anni, come si è allargato il tuo osservatorio?

«Nel 2015 è arrivato nella mia vita Jointly Push to open, un programma ideato per facilitare l’orientamento al proprio futuro dei giovani al termine delle scuole medie superiori: ho avuto l’opportunità di osservare circa 2500 ragazzi da tutta la nostra penisola, ne ho raccolto le domande via chat, le risposte a sondaggi su temi come passione, successo e fallimento, imprenditività, e li ho incontrati fisicamente in 30 workshop presso le aziende partner del programma. Fra le molte cose emerse nella stimolante relazione reciproca, si è scoperto che sono assuefatti ad una informazione virtuale disponibile sempre ed ovunque ma sono avidi di esempi e consigli degli esperti in carne ed ossa, specie se personalizzati; sono creativi e curiosi anche se la maggior parte di loro restano in superficie, surfano, e rimangono abbastanza lontani da uno spirito imprenditivo; hanno profili già traboccanti di esperienze extrascolastiche interessanti, ma non sono ancora in grado di valorizzarle. Come direbbe Simon Sinek, non è colpa loro! Detto ciò, dico io, dobbiamo anche andare oltre, diventare tutti più consapevoli e pronti a fare qualcosa.»

 

Facci qualche esempio.

«Rivedere la cornice in cui il lavoro trova forma, le organizzazioni, per trasformarle da un luogo di “cerchie” ristrette e chiuse in se stesse che guardano con sospetto alle diversità, a nuove realtà in cui si coltivi la cultura di una cittadinanza aziendale.

Con buona probabilità le diverse generazioni presenti in azienda hanno valori e riferimenti diversi, ma d’altro canto se guardassimo dentro ogni singola “cerchia” scopriremmo che anche lì ci sono “diversità”: il punto, quindi, non è omologare bensì rispettare e cogliere il meglio dalle diversità.

Do not put people in a bucket, ma keep your eyes and brain wide open per capire meglio, perché sulla famosa “mappa” di cui non conosciamo fino in fondo né i dettagli né le dimensioni spazio/temporali ci muoviamo necessariamente e obbligatoriamente insieme: Z, Y, X, BB…»

 

Come muoversi, quindi?

«Forse dovremmo ripensare, noi subject matter expert della materia, consulenti e formatori, anche agli interventi di sviluppo, formazione, mentoring, coaching per chi in azienda ci sta da più tempo dei millenials, ed aiutare loro ad intraprendere un processo di sviluppo collettivo osmotico fra generazioni che renda sostenibile il fantastico e al tempo stesso delicatissimo futuro di innovazione che ci aspetta.»

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