Il lato umano dell’innovazione

16 SETT 2022 Il lato umano dell’innovazione

Pubblicato da Laura Zanfrini

Adattarsi ai cambiamenti del mercato (e anticipare?) più velocemente dei propri competitor è fondamentale per tutte le aziende. È sempre stato così, oggi è ancora più importante e, in alcuni casi, più difficile.

I clienti (tutti) stanno cambiando esigenze ed aspettative ad una velocità nuova, l’evoluzione tecnologica è in accelerazione continua, le opportunità di business si aprono e chiudono rapidamente.

Le aziende devono essere organizzate per questa flessibilità. Vuol dire ripensare i modelli di business per cogliere nuove visioni strategiche e ridisegnare i modelli operativi.

Le aziende, tradizionalmente organizzate per l’execution, per il business di oggi, si ritrovano a doversi organizzare anche per l’innovazione, per il business di domani.

L’innovazione, infatti, agisce a più livelli:

  • Ottimizzare: fare sempre meglio (efficacia ed efficienza) prodotti, servizi, processi, metodi di produzione. Questo tipo di innovazione produce valore decrescente. Questa innovazione ha come focus il miglioramento delle innovazioni passate.
  • Aumentare: aggiungere il livello digitale a prodotti, servizi, processi, modelli di business. Significa avviare la trasformazione digitale, lavorando sull’organizzazione, i processi, le persone e le loro competenze, la cultura.
  • Mutare: è l’innovazione che consente all’azienda di mettere in discussione il proprio modello business e di creare valore. Richiede esperimenti radicali, confrontarsi con il “non-noto”. Servono nuove competenze, nuove persone, nuovi processi: questo è l’ambito dove le organizzazioni tradizionali fanno più fatica ad innovare, salvo poi essere travolte da competitor non convenzionali. Gli ecosistemi dell’innovazione aiutano a muoversi in questi territori percepiti come molto pericolosi.

Tratto da Transforming legacy organizations di Kris Ostergaard – 2019

Come definiamo l’innovazione?

Abbiamo dato per scontato il concetto di innovazione. Personalmente mi piace questa definizione: il processo di creazione di valore applicando nuove soluzioni a problemi significativi. Fa chiarezza rispetto al concetto di invenzione (manca la creazione di valore), di ottimizzazione (manca la novità), di arte (manca la soluzione operativa) e contribuisce a capire dove concentrarsi.

Fonte: digintent.com

Come processo, l’innovazione non accade. Anche se spesso è collegata all’idea di una persona che viene “folgorata” nella realtà ha molto più a che fare con la tenacia di capire la rilevanza del problema, l’ossessione nello sperimentare soluzioni nuove che funzionino, la resilienza nel verificare il valore prodotto, la capacità di applicare il risk management al rischio di non fare, non solo a ciò che si sta sperimentando, l’umiltà di non pensare di fare tutto da soli ma di costruire o far parte di un ecosistema dell’innovazione.

Vivere e lavorare in un ambiente in continua evoluzione significa disegnare organizzazioni che siano a proprio agio con l’innovazione continua e capacità per “prosperare” in questi contesti.

In Corporate Rebels di Joost Minnaar e Pim De Morree (2019) leggiamo “è dolorosamente ovvio: il sistema in cui molte persone ancor lavorano è stato creato per un mondo stabile, lento e prevedibile che non esiste più” ma è anche vero che molte persone non tirano le conseguenze personali: il proprio lavoro e il proprio modo di lavorare deve evolvere ad un ritmo a cui non sono (siamo) abituati.

Il World Economic Forum nel 2020 ci ricordava che il 50% dei lavoratori dovrà fare un completo reskilling (imparare un nuovo lavoro) entro il 2025 e che il restante 50% dovrà rivedere il 40% delle proprie competenze (upskilling) per continuare a fare il proprio lavoro. Un grande sforzo di apprendimento e cambiamento per continuare ad abitare le organizzazioni contemporanee.

Innovazione e apprendimento

Quali competenze servono per essere innovativi, in contesti che favoriscono, supportano ed incoraggiano l’innovazione?

Harvard, nel 2019, mette in evidenza 4 skill: curiosità, creatività, risk-taking e collaborazione.

Curiosità. Quando la nostra curiosità viene attivata”, ci racconta Francesca Gino professoressa all’HBS, “pensiamo più profondamente e razionalmente alle decisioni e troviamo soluzioni più creative”. Diventa quindi importante creare spazi fisici e di tempo per far usare la curiosità per le cose che li sorprendono, di cui sono appassionati, per curiosare quando si imbattono in scorciatoie che funzionano e incongruenze che non funzionano. E’ qui che nascono le opportunità per l’innovazione.

Creatività. Anche la creatività può essere insegnata, non tutti nascono con un genio creativo, ma tutti noi abbiamo capacità creative che possono essere sviluppate.

Risk-taking. Innovazione significa saltare e rischiare. I concorrenti non sono fermi. Il rischio non è solo nell’agire, ma anche nel non sperimentare.

Collaborazione. L’innovazione è uno sport di squadra, dare vita a un’idea richiede i talenti, le idee, il feedback e le capacità di esecuzione degli altri. La collaborazione è efficace per l’innovazione quando i membri dei team hanno competenze, provenienze, età e generi diversi. L’omogeneità porta velocemente al “group thinking”, il pensiero omologato.

Avere persone curiose, creative, consapevoli del rischio e collaborative è un asset aziendale fondamentale per poter alimentare contesti ed ecosistemi di innovazione.

Con il travolgente arrivo delle tecnologie e delle tecnologie digitali in particolare, la capacità di innovazione delle persone ha preso delle traiettorie nuove. E anche le “innovation skills” si ampliano.

In un articolo pubblicato sull’MIT Sloan Review di gennaio 2020 le skill per l’innovazione, che tutti i dipendenti dovrebbero avere cambiano aspetto.

Onniscienza: conoscenza totale e illuminata, Normalmente un attributo divino ma i talenti di domani devono aspirare a capire tutto – o almeno molto di più di quanto non facciano attualmente – delle loro attività. Capirne di tecnologia, di processi di creazione del valore, di sistemi digitali, di connessione tra i modelli di business attuali e futuri dell’azienda ma soprattutto devono conoscere i clienti: le attività,  come e quando vengono utilizzati i prodotti e i servizi, come funzionano i processi organizzativi e le relative sfide e opportunità.

Mindset imprenditoriale: Anche se può sembrare ovvio, i team di innovazione dovranno diventare più intraprendenti per avere successo. Devono allargare i confini, sfidare lo status quo non solo in termini di prodotti che desiderano sviluppare, ma anche dei processi che utilizzano. I due sono strettamente collegati.

Bottom-line focus: In un mondo basato sui dati, i dipendenti devono essere altrettanto abili nel pensare ai modelli di business quanto nella progettazione e nell’implementazione dei sistemi. Grazie all’IoT e ad altre tecnologie, le strategie di acquisizione del valore delle aziende possono essere modellate non solo dalle funzioni di marketing, vendite e sviluppo aziendale, ma anche dalla ricerca e sviluppo e dallo sviluppo del prodotto. Essere business-focus sarà richiesto a tutti i ruoli aziendali, anche agli appassionati di tecnologia.

Intelligenza etica: macchine, supervisionate da esseri umani intelligenti, prenderanno molte decisioni. Sebbene siano intrinsecamente logici, mancano di empatia. Ciò avrà conseguenze per le aziende, i consumatori e la società. Fare la cosa giusta diventerà molto più impegnativo man mano che i sistemi digitali diventeranno sempre più complessi. Le persone devono esaminare le scelte delle macchine attraverso una lente etica e pesare. Le aziende dovranno capire in che modo le decisioni di progettazione e i sistemi digitali influenzano ogni stakeholder e tengono conto delle probabili conseguenze indesiderate

Innovazione e cambiamento

Le competenze delle persone sono un aspetto dell’innovazione, ma non bastano.

Molto spesso non teniamo in considerazione che introdurre innovazione significa innestare un processo di trasformazione, di un cambiamento. Prima funzionavamo in un certo modo, dopo, introdotta l’innovazione funzioneremo in un altro.

Gli esseri umani, come specie, si sono sempre evoluti ma lentamente. Elisabeth Kuebler-Ross ha descritto il nostro approccio al cambiamento come un percorso che parte dalla reazione alla sorpresa, più o meno positiva e che poi, con il passare del tempo arriva alla “valle della disperazione”, così la definisce, il punto in cui abbiamo chiara consapevolezza dell’impatto del cambiamento nella nostra vita e ci deprimiamo, per poi pian piano trovare la nostra nuova zona di confort.

Anche Robert Kegan, con il suo libro “Immunità al cambiamento” descrive la nostra difficoltà a cambiare comportamenti, anche quando c’è a rischio la nostra vita.

Sapere che gli esseri umani vanno aiutati e supportati durante il cambiamento è fondamentale se parliamo di organizzazioni che devono muoversi in contesti in continua trasformazione e promuovere la capacità innovativa delle persone. Quando l’innovazione viene “messa a terra”, l’impatto sugli individui deve essere supportato da programmi di change management adeguati.

No Comments

Sorry, the comment form is closed at this time.